Colf e badanti, un business da 7 miliardi (ma c’è ancora troppo nero)

L’azienda-famiglia in Italia muove un giro d’affari di 7 miliardi all’anno. Ma altrettanti sono i miliardi in nero che gravitano attorno al lavoro domestico irregolare. Aiutare i datori di lavoro domestico a mettere in regola colf e badanti potrebbe portare nuovi incassi allo Stato. Ne è convinto Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, l’associazione nazionale famiglie datori: «Ma serve una politica di defiscalizzazione del lavoro domestico – spiega -. Solo così le famiglie sarebbero spinte a regolarizzare i propri dipendenti, che a loro volta presenterebbero la dichiarazione dei redditi facendo emergere cifre finora evase».
In Italia, secondo uno studio di Domina, due milioni di famiglie hanno un lavoratore domestico. Ma solo 900mila sono perfettamente in regola. «Esiste – spiega Gasparrini – una grossa fetta di “grigio”, cioè di famiglie che regolarizzano il dipendente per un numero di ore inferiore a quelle effettivamente lavorate».
I voucher, che avrebbero dovuto aiutare a far emergere il “nero”, non hanno funzionato: «Dopo circa 115 milioni di voucher acquistati nel 2015, appaiono più chiare le criticità che in futuro si verificheranno senza correggere le storture collegate a un abuso dei buoni lavoro», ha infatti commentato Lorenzo Gasparrini in audizione in commissione alla Camera sulle modifiche alla disciplina del lavoro accessorio. «I voucher non hanno aiutato a far emergere il lavoro nero – aggiunge Gasparrini – e inolte va detto che il pagamento delle prestazioni previdenziali tramite voucher porterà le lavoratrici domestiche a un raggiungimento contributivo della pensione inferiore a quella sociale». Per questo – secondo Gasparrini – è importante ritornare ai voucher come strumento di occasionalità nel settore del lavoro domestico portando il tetto annuale massimo a 2 mila euro».
L’indagine condotta a livello regionale dell’associazione evidenzia le differenze territoriali del lavoro domestico: «Le badanti straniere lavorano soprattutto al Nord – evidenzia il segretario generale – perché al Sud esiste ancora una diversa concezione della famiglia». Complessivamente, in Italia i contratti di lavoro domestico sono in maggioranza a tempo indeterminato perché non è necessaria una giusta causa per il licenziamento del dipendente.
Il dato sulla convivenza del lavoratore nell’abitazione del datore non è omogeneo: in Toscana il 54% delle badanti vive presso la persona assistita, mentre in Sardegna, Emilia Romagna e Liguria questo dato scende rispettivamente al 24, 26 e 26 per cento.
«Assumere un lavoratore domestico costa circa 15.000 euro all’anno – spiega Gasparrini – ma molti cittadini faticano a entrare nell’ottica di diventare “datori di lavoro”. Per questo in genere consigliamo di affidarsi a un’associazione come la nostra, che con un costo annuo contenuto di occupa della gestione del dipendente, dalle buste paga ai contributi».
La nuova forma delle famiglie italiane sempre più disgregate e l’aumento dell’età media poterà nei prossimi anni a un incremento del bisogno di badanti del 25%, secondo Gasparrini: «Per questo il Governo deve pianificare una politica seria sul lavoro domestico, noi siamo disposti a collaborare».
Il lavoro domestico non è solo quello delle badanti che si prendono cura degli anziani: ci sono anche le colf che si occupano delle case e le baby sitter che assistono i bambini, soprattutto nei nuclei famigliari in cui i nonni sono lontani.
(Francesca Milano, Il Sole 24 Ore)