In “cronica attesa”, intanto a pagare sono i pazienti

Costi stellari per pagare farmaci, assistenza e residenze sanitarie. Anche fino a 60 mila euro di tasca propria per un ricovero in Rsa. Attese di anni per una prima diagnosi. Screening assenti e ritardi diagnostici fino al 60% dei casi. L’assenza di servizi socio-sanitari adeguati, denunciata, di nuovo, dal 60% delle associazioni. Sono dati drammatici quelli tracciati dal XV Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva , presentato oggi a Roma. Con un titolo emblematico: “In cronica attesa”. Attesa per ricevere farmaci e cure, ma anche perché sia finalmente attuato il Piano nazionale cronicità, approvato in Conferenza Stato-Regioni sette mesi fa. Fino a oggi questo strumento di programmazione – che avrebbe dovuto dare ordine e governance al settore che rappresenta il primo campanello d’allarme per l’assistenza e la sostenibilità della spesa sanitaria, con oltre il 38% degli italiani che dichiara di avere almeno una cronicità e il 70% di risorse assorbite – ha prodotto frutti ben magri: recepito formalmente soltanto in due regioni, Umbria e Puglia, viene “sbocconcellato” qua e là in giro per l’Italia, in ordine sparso, a suon di corsi di formazione “spot” per i medici e di altri provvedimenti frammentari.
«Assistiamo a un vero e proprio paradosso – spiega Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici -: tutti sanno che prevenire e gestire le patologie croniche è la principale strategia da attuare per garantire il più alto livello di salute della popolazione, ma anche per perseguire la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Tanto più in tempi difficili, con un Def che per il 2019-2020 annuncia una discesa del rapporto tra spesa sanitaria e Pil al 6,4%, al di sotto della soglia minima del 6,5% indicata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Eppure, registriamo ancora enormi ritardi sia istituzionali che locali: la Cabina di regia prevista dal Piano nazionale cronicità, che dovrebbe monitorare anche il recepimento formale e sostanziale del Piano stesso, non è ancora partita. Così come è rimasto chiuso nei cassetti – del ministero della Salute o dell’Agenas – il “Pon” europeo che dovrebbe contribuire a sostenere il Piano, varato per il resto isorisorse, con 21 milioni da ripartire tra le Regioni per servizi alla cronicità e alla Sanità digitale. Ma all’appello – avvisa ancora Aceti – mancano anche altri tasselli fondamentali, come i rinnovi delle convenzioni con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Un passaggio cruciale, propedeutico anche all’attuazione dei Pdta, i Piani diagnostico terapeutico assistenziali, necessari per una presa in carico integrata, personalizzata e informatizzata del paziente. Che è ancora oggi costretto al fai da te, a ricostruire il proprio percorso di cura, oggi estremamente frammentato, con buona pace sia dei propri diritti sia dell’aderenza terapeutica».
Il Report. Al Rapporto “In cronica attesa”, presentato a Roma dal Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva con il contributo non condizionato di Merck&Co per il tramite della sua consociata MSD, hanno partecipato 46 associazioni, rappresentative di oltre 100mila cittadini affetti per il 64% da patologie croniche e per il restante 36% da malattie rare. Le associazioni sono state intervistate tramite un questionario strutturato a partire dai punti cardine del Piano nazionale delle cronicità varato a settembre 2016.
I risultati. Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica e di questi circa il 70% dichiara di essere comunque in buona salute. Ipertensione (17,1%), artrosi/artrite (15,6%) e malattie allergiche (10,1%) sono le tre malattie croniche più diffuse. Per quanto riguarda le malattie rare, in Italia si stima ci siano tra i 450mila e i 670mila malati rari.
Oltre il 60% delle associazioni segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul proprio territorio (ad esempio logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia difficoltà in ambito lavorativo, legate alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche.
Nel rapporto con il medico, il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, di aver visto sottovalutati i propri sintomi (44%), la poca reperibilità (42%) e la scarsa empatia (26%). Ancora indietro sui programmi di prevenzione: non solo perché l’Italia Paese investe 83 euro a persona (cifra inferiore a quella di paesi come il Regno Unito, la Germania, Danimarca, Olanda e Svezia), ma anche perché, come dichiarano le associazioni, ben il 56% non è stato coinvolto in programmi di prevenzione nel corso dell’ultimo anno. Laddove svolti, tali programmi riguardano per lo più l’alimentazione corretta (24%) e i corretti stili di vita (20%).
Diagnosi in tempi lunghi ed esiti incerti: a volte occorrono anni di attesa, sofferenza, solitudine ed incertezza, accompagnati da costi non indifferenti, prima di arrivare ad una diagnosi certa di malattia cronica o rara. Più della metà (58%) dice di non essere stato sottoposto a programmi di screening nel caso in cui ad un familiare sia stata riscontrata una malattia genetica e il 60% conferma un ritardo diagnostico.
La presa in carico del paziente con patologia cronica rappresenta il cuore del Piano nazionale della cronicità e il punto sul quale si misura la qualità dell’assistenza fornita. Il 40% dichiara che sono stati coinvolti in progetti di cura multidisciplinari solo alcuni pazienti; nel 39% dei casi, nessun paziente. Quanto alla riorganizzazione dell’assistenza sul territorio, sempre il 39% degli intervistati non riscontra alcun cambiamento nell’introduzione (per il momento in effetti sulla carta) delle Aggregazioni funzionali (Aft) e delle Unità complesse di cure primarie (Uccp). Di conseguenza, i cittadini, nel 68% dei casi devono ricorrere al Pronto soccorso. E, ancora, non si accorciano i tempi di attesa nel percorso di cura: un’associazione su due afferma che non esiste un percorso agevolato che garantisca tempi certi per l’accesso alle prestazioni sanitarie.
Ricoveri inappropriati o salati. La riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo (ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi). Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto.
Quando il ricovero avviene in una struttura riabilitativa, lungodegenza o Rsa, i cittadini segnalano lunghe attese per accedervi (68%), la mancanza di équipe multi-professionali (40%), la necessità di pagare una persona che assista il paziente ricoverato (32%) o il costo eccessivo della stessa struttura (28%). In caso di assistenza domiciliare, il primo ostacolo è nella sua attivazione (63%), il numero insufficiente di ore erogate (60%) o la mancanza di figure specialistiche necessarie (45%). Per il 40% manca anche l’assistenza di tipo sociale.
Sul fronte dell’assistenza farmaceutica, i cittadini denunciano limitazioni nella prescrizione da parte dei medici (35%), il costo eccessivo dei farmaci non rimborsati dal Ssn (33%) o ancora la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (33%). A volte le limitazioni sono imposte dalle aziende ospedaliere o dalla Asl per motivi di budget (28%) o a monte attraverso delibere regionali (20%).
Burocrazia, la semplificazione che complica. Pesanti le difficoltà burocratiche soprattutto legate al riconoscimento dellinvalidità civile e dell’handicap. Riguardano: per il 46% l’accesso all’indennità di accompagnamento, per il 39% il riconoscimento dell’handicap, per il 31% l’accesso alla pensione di inabilità, per il 27% l’assegno mensile di invalidità civile, per il 15% l’indennità di frequenza. Sull’assistenza protesica e integrativa, oltre la metà delle associazioni lamenta troppe differenze regionali. In generale, le problematiche principali riguardano i tempi eccessivamente lunghi per la fornitura (35%), la scarsa qualità dei presidi erogati (23%) e un problema di scarsa quantità (18%).
Dolore sottovalutato. Altro aspetto critico, la gestione del dolore: per il 62% delle associazioni, il personale sanitario sottovaluta il dolore; per il 38% manca un raccordo tra specialista e servizio di cure palliative. Inoltre, il 28% lamenta che i costi per una adeguata terapia analgesica siano a carico dei cittadini; il 24% ha difficoltà a farsi prescrivere farmaci oppiacei.
Asl inerti. Ancora molto poche le Asl (14% secondo le associazioni del CnAMC) che promuovono corsi di formazione per i pazienti e i loro familiari per la gestione della patologia, mentre ben l’80% delle associazioni ha coinvolto i propri associati in corsi su terapie e prevenzione, sostegno psicologico, aderenza terapeutica, campi scuola per i giovani.
L’appropriatezza che non c’è. Sull’appropriatezza, emergono criticità rilevanti: ben il 58% riferisce che i suoi sintomi sono stati sottovalutati con conseguente ritardo nella cura; uno su quattro segnala invece di aver dovuto fare esami inutili o perché non adatti alla propria patologia o perché ripetuti più volte. In tema di aderenza terapeutica, il 59% riferisce che la mancata aderenza è dovuta ai costi indiretti della cura (spostamenti, permessi di lavoro etc..), il 52% alle difficoltà burocratiche, il 39% a interazioni con altri farmaci, o ai costi della terapia. In altri casi interviene lo scoraggiamento perché non si ottengono i risultati attesi (36%) o perché si tratta di una terapia eccessivamente lunga e complicata (26%).
Sanità digitale col fiato corto. Il 64% dice di non essere stato coinvolto in nessun progetto di telemedicina e, nonostante la ricetta elettronica sia stata introdotta già da alcuni anni, il 49% ritiene che essa non abbia prodotto alcun risultato, o solo in alcune realtà (22%).
Malattie rare. Il primo problema per chi ha una patologia rara è la distanza dal centro di riferimento (68%) e di conseguenza i costi privati per lo spostamento e l’alloggio (61%). Segue, per un’associazione su due, la difficoltà di arrivare alla diagnosi e la mancanza di centri di riferimento. Ancora, la difficoltà nel riconoscimento dell’invalidità e/o dell’handicap (46%) e il mancato riconoscimento della patologia (43%). Sempre la stessa percentuale ha difficoltà nell’acquisto di parafarmaci (colliri, pomate, alimenti particolari, ecc.) e nel pagare privatamente esami e visite specialistiche. Difficoltà ancora più pesanti, soprattutto dal punto di vista psicologico, quando si parla di bambini e ragazzi affetti da una patologia rara, che spesso devono rinunciare a partecipare alle attività extrascolastiche (46%), si scontrano con problemi concreti come la presenza di barriere all’interno dell’edificio scolastico (42%) e talvolta subiscono situazioni come l’isolamento dai compagni o addirittura atti di bullismo (21%).
(ilsole24ore.com)

Il rapporto di cittadinanza attiva