Alzheimer, sono 1 milione i malati in Italia, 25 milioni nel mondo

Sono 25 milioni le persone al mondo colpite dalla Malattia di Alzheimer, la più comune forma di demenza che conta 1 milione di casi solo nel nostro Paese. La Società Italiana di Neurologia (SIN), in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra mercoledì 21 settembre, fa il punto sulle strategie preventive in fase di sperimentazione per questa patologia.
I sintomi della malattia sono riconducibili, inizialmente, a deficit di memoria, soprattutto per fatti recenti, e, successivamente, a disturbi del linguaggio, perdita di orientamento spaziale e temporale, progressiva perdita di autonomia che definiamo come “demenza”. A tali deficit spesso si associano problemi psicologici e comportamentali, come depressione, incontinenza emotiva, agitazione, vagabondaggio, che rendono necessario un costante accudimento del paziente, con un grosso impegno per i familiari. La patologia colpisce prevalentemente soggetti anziani (un tempo erroneamente identificati come affetti da “demenza senile”) ma può esordire anche in età presenile.
Alla base della Malattia di Alzheimer vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, la beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose e il loro collegamenti. Il processo può iniziare anche decenni prima delle manifestazioni cliniche della malattia e può essere tracciato attraverso la PET (Positron Emission Tomography) realizzata mediante la somministrazione di un tracciante che lega la beta-amiloide. Analogamente, è possibile analizzare i livelli della proteina nel liquido cerebrospinale, con una puntura lombare.
Sembrerebbe dunque più vicina una cura attraverso molecole capaci di ridurre la produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale.
Questi anticorpi, prodotti in laboratorio e somministrati sottocute o endovena, sono in grado in parte di penetrare nel cervello e rimuovere la proteina, facilitando il passaggio della proteina dal cervello al sangue e la sua successiva eliminazione.
La sperimentazione – assieme agli studi già assodati su stile di vita e alimentazione – accende nuove speranze.