Una classe di farmaci in via di sviluppo che ha come bersaglio una forma genetica e rara di Parkinson – che rappresenta il 3-4% dei casi – potrebbe funzionare anche nella forma più comune e non ereditaria della malattia.
Secondo un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, a firma del ricercatore palermitano Roberto Di Maio della Fondazione Rimed, il gene LLRK2 – coinvolto nella malattia di Parkinson rara e bersaglio delle terapie sperimentali -potrebbe infatti svolgere un ruolo importante anche nelle forme più comuni e diffuse di Parkinson acquisito (Parkinson idiopatico) .
«Si tratta di una scoperta rilevante – ha dichiarato Di Maio, che ha condotto lo studio in collaborazione con l’Università di Pittsburgh e Upmc – che potrebbe consentire di espandere l’utilizzo di alcuni farmaci in via di sviluppo in grado di bloccare l’attività enzimatica di LRRK2 – pensati inizialmente solo per alcune forme di Parkinson familiare – a una ben più vasta popolazione di pazienti affetti da Parkinson idiopatico».
Secondo il ministero della Salute, il morbo di Parkinson colpisce 230mila persone in Italia e circa 10 milioni nel mondo, ma ad oggi non si conoscono con certezza le cause dell’insorgere della mattia, attribuite a un insieme di fattori genetici e ambientali. Dal 2004 però qualche passo in avanti è stato fatto, grazie all’evidenza scientifica che alcune mutazioni del gene LRRK2, in grado di inattivare l’enzima che porta lo stesso nome, sarebbero in grado di “accendere” la malattia di Parkinson a trasmissione ereditaria in un piccolo gruppo di pazienti.
La difficoltà nello sviluppo di questa ricerca risiedevano nel fatto che la proteina LRRK2 è molto difficile da studiare, perché presente in quantità estremamente ridotte nelle cellule nervose colpite dal morbo di Parkinson. Per superare questo problema, il team coordinato da Di Maio ha progettato una “sonda” molecolare luminescente: una sorta di rilevatore di attività dell’enzima LRRK2 in grado di emettere segnali di colore fluorescenti quando l’enzima è attivo: ciò ha permesso di rivelare i livelli di attività enzimatica di LRRK2 all’interno dei “neuroni della dopamina”, le cellule nervose più frequentemente colpite dal morbo di Parkinson.
«Applicando questa tecnica – spiega Di Maio – abbiamo potuto osservare che LRRK2 era altamente attivo nei neuroni della dopamina presenti nel tessuto cerebrale post-mortem di pazienti malati di Parkinson idiopatico, in cui non è stata osservata alcuna mutazione genetica di LRRK2, ma non nel tessuto cerebrale proveniente da individui sani. Ciò suggerisce – conclude il ricercatore – che l’iperattività di LRRK2 può essere rilevante in tutte le persone con Parkinson, non solo in pazienti con la mutazione del gene».
(Il sole 24 ore)