Il Congresso di Cardiologia Geriatrica tenuto qualche giorno fa a Roma non ha dubbi. Cure e controlli per il cuore, soprattutto quelle più innovative, non riguardano quanto dovrebbero i pazienti più anziani, in particolar modo dopo gli ottant’anni. La convinzione diffusa, errata secondo gli esperti a congresso, è che non servano. Quando invece è dimostrato che migliorano la qualità della vita e la sopravvivenza anche delle persone più anziane. Così, ad esempio, si calcola secondo i dati dei registri dei pazienti, che quattro over 85 su dieci che presentano problemi cardiocircolatori, sono tagliati fuori dalle terapie più avanzate. Secondo i dati presentati al congresso ogni anno circa 150mila persone sopra i 65 anni vengono colpiti da ictus o da infarto e duecentomila si ammalano di scompenso cardiaco. Le malattie cardiache riguardano più della metà degli over 65 con un picco dell’80% in chi ha più di 85 anni, i quali sono più di due milioni nel Paese.
Il paradosso è che con l’aumentare dell’età diminuiscono – statisticamente – prescrizioni di farmaci e controlli adeguati e diminuiscono le cure con statine e per l’ipertensione. Un paradosso medico basato sul pensiero che nelle persone molto anziane non vi sia convenienza a particolari trattamenti, che non porterebbero benefici significativi con le terapie. Un pensiero che, secondo le relazioni intervenute al congresso, dovrebbe essere rivisto sulla base di due elementi basilari.
Il primo è che i pazienti che non hanno cure sufficienti, nella gestione della malattia “costano” di più in termini di maggiori e più frequenti ricoveri e controlli per rimediare a terapie e diagnosi poco adeguate. Il secondo è una sorta di discriminazione nei confronti degli anziani e del loro bisogno di salute rispetto ai soggetti più giovani.