Da Baltimora un nuovo studio sulla disfagia, la difficoltà di deglutizione dell’anziano

E’ un campanello di allarme per malattie serie – come Parkinson, Alzheimer e in genere tutte quelle che agiscono sul coordinamento muscolare – ma è anche legata al normale invecchiamento. E’ la “disfagia”, la difficoltà a deglutire dell’anziano. L’alterazione del meccanismo che consente di deglutire interessa dal 30 al 60% degli anziani ed è un problema particolarmente sentito, perché può essere causa di complicanze gravi, come la polmonite ab ingestis, ovvero l’ingestione di liquidi e di cibo che, attraverso le prime vie aeree, vanno direttamente nei polmoni provocando febbre elevata con shock settico che a volte può addirittura provocare la morte del soggetto.
L’aspirazione è il rischio maggiore in cui si può incorrere somministrando il pasto a una persona con disfagia. Si manifesta con senso di soffocamento, tosse insistente e comparsa di colorito rosso o cianotico. Altre possibili complicazioni sono rappresentate da disidratazione e malnutrizione, perché per paura si beve e si mangia di meno.
Ora un nuovo studio preliminare della John Hopkins University, presentato in questi giorni all’incontro annuale della Dysphagia Reasearch Society a Baltimora, intende indagare il problema della disfagia come fenomeno “naturale” dovuto al semplice invecchiamento.
A questo fine un campione di anziani dai sessanta ai novantanni, senza alcun problema di deglutizione, è stato messo a confronto con individui sani e sensibilmente più giovani. Il meccanismo della deglutizione è stato sondato sui due campioni attraverso un test video ai raggi x.
Dalla ricerca preliminare è emerso che anche nei soggetti anziani non disfagici il cibo arriva alla gola con più ritardo e l’attività di ingestione è più rallentata, con i conseguenti pericoli rispetto al coinvolgimento della respirazione e delle vie aeree.