Alimentazione e buona salute hanno sempre avuto una correlazione forte. Ma ancora più forti sono le relazioni tra cosa e come mangiano gli anziani e il loro stato di salute. Una quantità di studi scientifici di caratura internazionale mettono in relazione l’alimentazione come uno dei fattori che determina il benessere delle persone, la qualità della vita e l’importanza nei confronti di come si affronta l’invecchiamento.
Così i disturbi del comportamento alimentare, molto frequenti negli anziani, sono sempre di più al centro dell’attenzione della comunità scientifica non solo per le evidenze che lo collegano al declino e al deterioramento cognitivo, ma anche per tutta la serie di patologie croniche che minano il benessere fisico e incidono gravemente sulla vita di quasi tutti gli anziani.
Normalmente, quando si parla di disturbi alimentari, si pensa più a un fenomeno che riguarda solo le fasce giovanili della popolazione, spesso attorno al periodo dell’adolescenza e dell’accettazione di sé. Eppure è un dato di fatto che, statisticamente, l’età anziana si sta dimostrando altrettanto fragile nei confronti della propria alimentazione, tanto da arrivare a coincidere, nei casi più importanti, in un vero e proprio stato di malnutrizione, sia nel senso di un eccesso di nutrizione come nel caso di sovrappeso e obesità, sia al contrario in un’alimentazione insufficiente e poco variata. Fenomeno tutt’altro che raro, dal momento che sembra riguardare almeno la metà degli anziani.
Del resto la non corretta alimentazione, al di là degli effetti sulle degenerazioni cognitive, riguarda quasi tutti gli aspetti della vita dell’anziano: la riduzione della massa muscolare e l’indebolimento della struttura ossea che aumentano il rischio di infortuni, la minore capacità di riprendersi da una convalescenza o un ricovero ospedaliero, uno stato generale di debolezza e depressione anche nascosta e una predisposizione alle malattie croniche più comuni, come circolazione, diabete e funzionalità degli organi interni.
Fenomeni che devono essere tenuti d’occhio in tarda età, dal momento che fisiologicamente il cervello comincia ad alterare la percezione di sapori e odori del cibo, così come il colore, da sempre un fenomeno attrattivo della qualità del cibo, e spesso preserva solo il gusto del dolce. Cosa che induce i soggetti anziani ad aumentare il consumo di questi ultimi, spesso in sostituzione anche dei necessari pasti principali con una varietà di ingredienti.
Altri fattori fisici, come una dentizione debilitata o – nel caso di anziani soli – l’incapacità di preparare pasti sufficientemente variegati, concorrono anch’essi al fenomeno.
Chi segue un anziano, dunque, anche quando questo è autosufficiente e necessita solo di qualche visita periodica, deve porre la massima attenzione sul mantenimento o il controllo del peso e sulle sue condotte alimentari. Provvedere a correggere alcuni comportamenti o i semplici stili di vita, magari con un aiuto geriatrico o di un nutrizionista, è un’assicurazione di lungo corso e di provata efficacia contro il declino della qualità della vita dell’anziano e per mantenere più a lungo possibile autonomia e una buona condizione psicofisica.