E’ o non è un paese per vecchi?

Non è un paese per vecchi: il titolo è mutuato dal capolavoro del 2007 dei fratelli Coen, ma a più riprese negli scorsi anni è stato usato da giornalisti e sociologi come nuovo ed amaro slogan dell’Italia in crisi: esodati, età pensionistica e debito pubblico in continua crescita, tagli al Welfare. Potrebbe sembrare che in questa crisi globale gli anziani non riescano a trovare un posto – o un ruolo – economicamente sostenibile; a ben guardare, però, si scopre invece che negli ultimi anni gli over 65 sono tornati alla ribalta del mercato del lavoro come nuovi protagonisti, anche se spesso loro malgrado. I più anziani sono infatti sempre più importanti, più numerosi, più produttivi. Secondo stime Isfol, nel 2015 gli over sessantacinque ancora a lavoro saranno 13 milioni, mentre si stima che toccheranno quota 21 milioni nel 2050.
Forse quindi l’Italia è davvero – dopotutto – un paese per vecchi.

Ma se i giocatori in campo cambiano, è chiaro che dovranno cambiare anche le regole del gioco. “Se da una parte un lavoratore più anziano rappresenta una risorsa importante per l’azienda ed un risparmio per il sistema previdenziale,” ha dichiarato Rinaldo Ghersi, presidente della Società Italiana di Ergonomia, “Dall’altro verso aumentano i problemi di idoneità e collocabilità.”
E’ chiaro infatti che non ci si può aspettare che un ultrasettantenne lavori efficientemente in cantiere, ad esempio, o che – in un ufficio – abbia la capacità di concentrazione di un collega trentenne; per evitare collassi di rendimento e produttività sui luoghi di lavoro sarà quindi necessario adeguare le esigenze produttive delle aziende alle possibilità dei loro dipendenti meno giovani, e viceversa. Le aziende dovranno offrire condizioni di lavoro adeguate a bisogni ed eventuali patologie tipiche della terza età, ma lo stato dovrà mettere in atto una serie di politiche sociali e sanitarie che accompagnino i cittadini verso un invecchiamento in salute, sicurezza e soprattutto autonomia.

Lavorare su welfare e salute è diventato – negli ultimi anni soprattutto – una polizza d’assicurazione sociale collettiva: se non per amore almeno per denaro, prendersi cura dei nostri anziani torna quindi ad essere – ma forse lo era già in partenza – il miglior tipo di investimento a lungo termine.