RSA: fare rete e investire in formazione, ecco (secondo l’IPASVI) come migliorarle

Fare rete, investire nella formazione, rispondere a bisogni di relazione oltre che infermieristici.
Sono questi i temi principali emersi dalla tavola rotonda “I bisogni emotivi che non scompaiono” dedicata alle Rsa organizzata nell’ambito della mostra “La vita prima” di Emiliano Cribari promossa dal Collegio Ipasvi di Firenze in sinergia con Le Murate progetti arte contemporanea.
Un confronto che si è tenuta nei giorni scorsi alle Murate di Firenze, moderato da Mariaflora Succu,dirigente infermieristico libero professionistae alla quale hanno partecipato Barbara Trambusti, dirigente responsabile di area socio sanitaria,Daniele Raspini dirigente della Rsa Martelli, Laura Petrioli direttrice della Rsa l’Uliveto, Lina Callupe di Cittadinanza Attiva, Cecilia Pollini vicepresidente del Collegio Ipasvi di Firenze,Corinna Pugi infermiera consigliere Q 4 Firenzee Alessandra Schiavoni psicologa psicoterapeuta.
“Non c’è tentativo di empatia se non riesce a fare qualcosa di diverso: immaginarsi nei panni di chi abbiamo davanti – ha detto Mariaflora Succu,dirigente infermieristico libero professionista – tutti dobbiamo fare uno sforzo perché le persone anziane vivano sì i loro ricordi ma non restino prigioniere del passato: ogni giorno va riempito con stimoli nuovi”.
Un aspetto fondamentale è anche la necessità di investire nella formazione del personale e nel “bello”, perché ha sottolineato Alessandra Schiavoni: “Bisogna comprendere l’importanza di avere oggetti che ci fanno sentire più in casa nostra. La Rsa è la casa degli anziani più che degli infermieri e ognuno dovrebbe avere la possibilità di ricavarsi il proprio ‘pezzo’. La risorsa della Rsa è nella socialità, nei legami che si creano con gli altri ospiti”. Cecilia Pollini ha evidenziato la necessità che la formazione sia un momento di scambio tra professionisti: “È necessariolavorare in equipe per rispondere non solo a bisogni assistenziali e infermieristici, ma anche di relazione, promuovere l’incontro tra professionisti diversi che forniscano gli strumenti per cogliere i bisogni inespressi”. Mentre per Callupe la formazione deve essere a 360 gradi, perché “è importante educare alla comunicazione e alla relazione con i pazienti”. Per Raspini: “Si può parlare di formazione e multidisciplinarietà ma servono anche esperienze che consolidino i rapporti fra le persone, che creino armonia”.
Ma il problema delle Rsa per Trambusti “è dato dalla non conoscenza, dallo scarso interesse nei confronti di queste strutture, spesso considerate l’ultimo scalino. Per farle crescere bisogna renderle più appetibili, farle conoscere di più. Ma questa è una cosa che dovrebbe avvenire a monte, già quando siamo in formazione. È già stato attivato un progetto con il Centro criticità relazionali per far nascere una relazione dove prima non c’era ma si tratta di un progetto lungo, per il quale dobbiamo continuare a lavorare”.
Soprattutto c’è necessita di fare rete. “Le risorse economiche sono sempre meno e la Regione Toscana si trova a fare delle scelte – ha detto Pugi – ma c’è anche integrazione fra pubblico, privato accreditato, privato puro. Bisogna trovare la giusta misura per far sì che tutti i vari attori dialoghino avendo come punto di partenza la persona. Prima della Rsa ci dovrebbero essere passaggi intermedi territoriali che ora spesso non si considerano perché manca il dialogo tra assistenza sociale, medici, attività di volontariato sociale; per questo spesso si è costretti a ricorrere all’istituto”.
Altro tema toccato è stato quello dell’impatto emotivo che può avere la quotidianità nella Rsa su uno studente neolaureato. “Il rischio dei neolaureati è il burnout – ha detto Schiavoni – per questo è molto importante la formazione sui temi emotivi: se non si insegna ai ragazzi come gestire le emozioni non li si mette in condizione di lavorare serenamente”.
Si è parlato anche di contenzione, in relazione al delicato equilibrio fra libertà personale e sicurezza dei pazienti, riallacciandosi alla necessità di educare alla relazione. E ancora i progetti delle Rsa con le scuole: “per gli anziani – ha detto Schiavoni – giocare come i bambini è positivo. Si crea un clima di compensazione e scambio, anziani e bambini imparano l’uno dall’altro, soprattutto quando c’è una continuità. Gli anziani più sono creativi più riescono a conservare la loro vitalità”.
(quotidianosanità)