Pistoia, 21 Marzo, Convegno “La solitudine del caregiver”

L’indagine della Fondazione Turati “Tra paure e speranze: una ricerca sulla condizione degli anziani in tre regioni italiane” aveva dedicato ampio spazio alla condizione della popolazione anziana oggi ed in prospettiva evidenziandone la condizione drammatica: ad oggi, oltre il 21% della popolazione italiana ha 65 anni o più, ben 13,2 milioni di anziani in termini assoluti, di cui la metà (6,6 milioni) con più di 75 anni, nel 2050 la componente di ultrasettantacinquenni raggiungerà il suo picco addirittura intorno al 20-26% sulla popolazione totale nelle singole regioni italiane, complessivamente tra i 12 ed i 15 milioni di persone.

Conseguenza diretta di questo scenario è l’aumento (almeno in termini assoluti) di quel segmento di anziani con bisogni sanitari e socio-assistenziali che necessitano assistenza di tipo continuativa (Long-term Care, LTC: al 2013 sono oltre il 20% degli ultrasessantacinquenni, cioè più di due milioni e mezzo, che presentano limitazioni funzionali di diverso tipo, dal confinamento alla capacità di movimento allo svolgimento di attività della vita quotidiana.

L’inadeguata risposta dei servizi pubblici

La risposta data dai servizi pubblici è assolutamente inadeguata come aveva rilevato anche la nostra ricerca e come conferma il recente Rapporto sulla Non Autosufficienza, promosso dall’IRCCS-INRCA per il Network nazionale per l’invecchiamento.

Accanto al sostegno monetario dell’indennità di accompagnamento (IDA) che tocca a circa il 10%, l’assistenza domiciliare integrata (ADI) raggiunge poco più del 4% degli anziani così come i servizi di assistenza domiciliare (SAD) non toccano che l’1,3% degli ultrasessantacinquenni.

I posti letto in residenze sanitarie assistenziali e residenze protette sono in calo (frutto di scelta che tendono a favorire la permanenza a casa: ma come?) e nel 2012 sono pari a 2,3 ogni 100 anziani.

I dati per la Toscana sono tutti sensibilmente inferiori a quelli medi nazionali, ma la sfida sul tavolo delle istituzioni e della società è quella di riuscire a soddisfare la crescente complessità dei bisogni degli anziani non autosufficienti con adeguati interventi da parte del sistema sanitario e di protezione sociale, facendo quadrare allo stesso tempo i conti pubblici investiti da crisi economica, recessione e tagli.

Il peso dell’assistenza grava quindi prevalentemente sulla famiglia, all’interno della quale si praticano assistenza e solidarietà, ma la famiglia tradizionale è entrata in crisi per profondi cambiamenti sociali e di costume ed è sottoposta a fortissimi stress: l’allungamento della vita (molto meno della via in buona salute) prolunga l’impegno nell’assistenza anche in età nella quale il caregiver familiare comincia ad avvertire necessità di sostegno e si combina spesso con l’impegno a sostenere i figli nella cura dei nipoti, una GENERAZIONE SANDWICH è stata chiamata.

Il Caregiver: base portante del welfare

In prospettiva questa parte di welfare coperta finora dalle famiglie e dai caregiver familiari andrà diminuendo inevitabilmente e significativamente: il rapporto tra persone adulte (45-64 anni) e anziani (75+ anni) si dimezzerà per il 2050 con minori possibilità per i figli di fornire cure intergenerazionali.

Anche l’apporto fornito da assistenti personali, c.d. badanti, rischia di scontrarsi in futuro con pensioni meno generose di quelle attuali che hanno consentito l’ampio ricorso a queste figure: occorre intervenire con coraggio per evitare che la condizione di non autosufficienza degli anziani in carico alle famiglie diventi un fattore in grado di aumentare il rischio di povertà delle nuove generazioni (figli adulti, appunto): quelli di oggi possono ancora contare sulle pensioni “generose” delle vecchie generazioni accudite mentre quando toccherà a loro saranno assai più contenute.

Il caregiver, chi nella famiglia e nella cerchia di relazioni presta assistenza agli anziani ed ai disabili che hanno perso la loro autonomia, è stato oggetto di una indagine mirata “Primo rapporto sul lavoro di cura in Lombardia” a cura dell’Istituto di ricerca sociale (IRS).

L’identikit dei caregiver vede in maggioranza donne impiegate in questo lavoro (il 73%) con un’età media di 59 anni. L’impegno della cura dei familiari in media dura più di due anni, tempo che alla fine incide sulla tenuta, anche psicologica di chi assiste. Il 40% si sente infatti abbandonato. Otto caregiver su dieci tra quelli intervistati sono familiari (il 60,5 per cento figli e il 26 per cento coniugi), il restante 20 per cento è composto da badanti. Il lavoro richiede un grande impegno di ore: l’85% di chi ha risposto dedica più di 20 ore a settimana e il 43% 24 ore al giorno. Per due terzi, poi, l’impegno dura da almeno due anni. Se i figli mantengono intatta la vita lavorativa (solo uno su cinque deve ridurre gli orari) e semmai ci rimettono in termini di tempo speso con il resto della famiglia, per i coniugi non c’è mai possibilità di distacco. Come dichiara con efficace sintesi una mamma caregiver: ”Siamo la base portante del welfare”

La ricerca mette in evidenza che il 40% di chi assiste i propri familiari si sente abbandonato ed ha un rapporto con i servizi pubblici molto distaccato: il 7% non ne sente nemmeno l’esigenza. Unica richiesta avere un sostegno economico.

I caregiver si sono rivolti al Presidente della Repubblica con una precisa richiesta “Ci conceda la grazia” chiedendo venga messa tra le priorità delle istituzioni pubbliche “la promozione del riconoscimento delle tutele minime dei Caregiver familiari – quali quelle sanitarie, previdenziali ed assistenziali – in considerazione del lavoro di cura che essi somministrano quotidianamente e senza soluzione di continuità pur senza accesso a ferie, riposo notturno garantito, festività e malattia”.

Il programma del convegno

La “solitudine del caregiver” , l’impegno che gli è richiesto e le risposte attese richiedono sforzi di approfondimento e di ripensamento : approfondire le risposte innovative da dare alla domanda espressa o latente nella contrattazione sindacale come nell’impegno della realtà associazionistica e del volontariato è l’obiettivo del convegno che si svolgerà il 21 marzo prossimo nel Palazzo dei Vescovi a Pistoia con inizio alle ore 16.

L’evento è organizzato dalla Fondazione Turati di Pistoia assieme all’Associazione E.S.T. di Venezia e al Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare del Centro Einaudi di Torino. La relazione introduttiva sarà svolta da Franca Maino (Università degli Studi di Milano – Percorsi di Secondo Welfare) sul tema “La condizione del caregiver ed il bisogno di nuove politiche e nuovi strumenti”, nel corso del quale saranno presentate alcune riflessioni emerse nel Secondo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia in tema di risposte innovative volte a sostenere la domanda di servizi alla persona e alla famiglia.

Il programma prevede poi l’ascolto della voce di chi presta cura

Marcello Paris, Associazione Morbo di Parkinson;
Daniele Innocenti, Associazione Malati di Alzheimer
Stefania Bastianello, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica

Seguiranno gli interventi di Enzo Costa, Presidente nazionale AUSER, sul contributo dell’associazionismo, di Patrizia Pellegatti, Segretaria CISL Toscana Nord Sede di Pistoia su lavoro e famiglia nella contrattazione nazionale e decentrata, di Anna Bruschi, Presidente di APR Onlus sull’apporto del volontariato e del terzo settore per chiudersi con l’intervento del Sindaco di Pistoia Samuele Bertinelli sulle politiche pubbliche per il sostegno ai caregiver.

Il regista Pupi Avati parla del suo film “Una sconfinata giovinezza”

Un eccezionale post convegno prevede l’intervento del Maestro Pupi Avati che la sera alle ore 21.00 presenterà, al cinema Globo, in una intervista condotta da Michele Galardini, il suo film “Una sconfinata giovinezza” che ha al centro il dramma dell’avanzare dell’Alzheimer.
(Luciano Pallini, Fondazione Turati)

La Brochure del Convegno in pdf