Di qui non me ne vado! Ma solo a Firenze ci sono 3000 anziani a rischio abitazione

L’indagine è del Sunia, il sindacato degli inquilini, che ha coinvolto 50 famiglie anziane seguendole per due anni con questionari specifici, prima di proiettare i dati sulla situazione fiorentina. E i dati sono drammatici: 3000 anziani in disagio abitativo, 1000 a rischio sfratto. Tutto questo con il contorno di piccole e grandi fragilità: raccogliere tutta la documentazione occorrente ogni qualvolta si deve fare un bando per l’alloggio, per il contributo in conto affitto, per avere un sostegno sociale, per la dichiarazione ISEE, per risparmiare sul gas, la luce, l’acqua, il telefono, eccetera.
Alcuni si pentono di non aver comprato la casa quando era ancora possibile, e di aver destinato quei risparmi per aiutare i figli che magari oggi sono anch’essi in difficoltà. Per tutti la paura e l’ansia di un futuro sempre meno tranquillo. Futuro in cui ansia, senso di fallimento, paura e frustrazione si mettono in relazione con l’acutizzarsi di patologie generate dalla logorante attesa dello sfratto, dalle incertezze sul giorno dell’esecuzione, dalle peripezie per affrontare in tempo un trasloco.
Grazie anche alla messa a disposizione di analisi, certificazioni e referti medici è stato constatato, che il chiodo fisso dello status di sfrattato ha senz’altro contribuito all’aggravamento e degenerazione di patologie in essere. Sono, senza dubbio, gli uomini a manifestare le conseguenze più marcate e gravi. Hanno spiegato Laura Grandi (Sunia Firenze) e Rossano Rossi (Cgil Firenze): “Siamo di fronte a un’emergenza, chiediamo al Comune che si attivi per rimettere in funzione la Commissione sul disagio abitativo che dovrebbe governare gli sfratti e i passaggi tra casa e casa. Chiediamo poi alla Prefettura e alla Corte d’Appello un calendario certo che permetta la graduazione degli sfratti. Infine, facciamo appello alla Regione affinché si faccia uscire l’edilizia pubblica dai vincoli del Patto di Stabilità, e si preveda un finanziamento certo per la stessa edilizia pubblica come nei Paesi europei più evoluti dove la tensione abitativa è minore”.