Si sente dire dappertutto che la salute degli anziani dipende anche dalla loro vita sociale, dall’inserimento profondo nel contesto cittadino e dall’autonomia nella loro vita quotidiana. Eppure le nostre città sono sempre più spesso inospitali per loro: marciapiedi sconnessi, negozi e servizi distanti, traffico, rumore e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è che sempre più anziani – prima ancora di raggiungere la soglia della fragilità o della non autosufficienza – finiscono col diventare prigionieri in casa in una città ostile, diventando socialmente invisibili.
Qualcuno potrà pensare che non ci si può far niente, ma non è così. Quello che manca è anche questione di attenzione e in molti casi non richiede particolari investimenti economici. Urbanisti, psicologi, commercianti, amministratori e istituzioni farebbero bene a pensarci. Anche perché, dalle nostre parti, gli anziani sono l’unico settore demografico in crescita e le risorse per curarli e assisterli sono già molto ristrette. Ma in ballo non ci sono solo le classiche questioni ed opportunità economiche, c’è anche un problema di giustizia sociale. Se ci fate caso, in città le uniche persone anziane che – tolta la sopravvivenza dell’approvvigionamento domestico – usufruiscono della vita sociale cittadina come musei, teatri, conferenze e concerti appartengono quasi esclusivamente alle classi economicamente e socialmente più elevate.
Il fatto è che in molti casi le città sembrano progettate per una “normalità” che appartiene più al mito che alla realtà. Prendiamo ad esempio l’attraversamento pedonale dei semafori: la velocità richiesta prima che scatti di nuovo il rosso è di 1,2 metri al secondo, ma studi approfonditi ci dicono che un pedone più anziano, che magari ha pure una borsa della spesa, non supera i 0,7 metri al secondo. Risultato: ansia da pericolo e senso di inadeguatezza che a lungo andare portano a rinunciare a certe imprese.
Dettagli di qualche secondo, insomma, come l’autista dell’autobus che si ferma troppo lontano dal marciapiede o che riparte bruscamente nel momento in cui l’anziano sta tentando di trovare un appiglio o mettersi a sedere.
Si potrebbe continuare a lungo, a partire dalla possibilità di sedersi che sembra proprio scomparsa nelle nostre città, nei negozi, ovunque ci sia da aspettare o fare una fila.
Controllare quello che si può fare subito e senza investimenti per agevolare i cittadini anziani a non far sembrare un’impresa uscire a fare una passeggiata e fare quattro chiacchiere all’aperto sarebbe già un passo avanti. Prima ancora di recepire ciò che consiglia, già dal 2006, l’Organizzazione Mondiale della Sanità con il progetto Age-Friendly Cities.
Ad oggi quel che colpisce di più è l’impermeabilità delle città a ricreare o mantenere al proprio interno un tessuto di infrastrutture, relazioni e servizi in grado di far sentire l’anziano a casa propria, e che, in tempi di crisi come questi, non lo facciano nemmeno i più attenti alle opportunità economiche e commerciali che da una città più attenta ad almeno un terzo della sua popolazione possono nascere e prosperare.
Noi di facileanziani stiamo preparando un convegno sul tema il prossimo settembre a Firenze. Ci piacerebbe raccogliere studi, esperienze e tesi di laurea da poter presentare in quell’occasione. L’indirizzo email di questa pagina è a vostra disposizione.