Fase due e riapertura. E solo in ultimo vennero gli anziani

Dopo il picco della pandemia e la quarantena globale, si comincia a parlare sommessamente di una graduale riapertura: le attività produttive, gli esercizi commerciali, le donne e quanti altri e solo per ultimi gli anziani. Un segno della generalizzazione che per tutta la pandemia in corso ha riguardato gli anziani, prima coi toni grottescamente liberatori del “muoiono solo loro”, poi con massificazioni sulla fragilità e sulla rischiosità che non fanno onore alla logica: se qualcuno è più a rischio, allora va seguito di più e non isolato e basta, come spesso è successo e ancora succede.
Un po’ di buon senso farebbe in questa dozzinale forma di discriminazione due o tre riflessioni importanti.
La prima è che non tutti gli anziani sono uguali. Hanno livelli di salute diversi e diverse esigenze per mantenersi in salute. Quelli che stanno bene non corrono più rischi di altri e ormai le statistiche lo provano, persino per qualche centenario. Quelli che invece rischiano di compromettere con l’inattività e le segregazione nell’ambiente domestico il proprio stato di salute sono molti, i quali con le dovute cautele del caso, dovrebbero invece che essere ultimi essere i primi a muoversi.
La seconda è che a livelli di salute e di condizioni diverse, anche nella fragilità, gli anziani dovrebbero poter contare su una rete di protezione vera. Che non è fatta di pareti domestiche, ma di un rapporto ancora più stretto in periodi di emergenza come questo, con il proprio medico e eventuali aiuti domiciliari, nonché con priorità assolute riguardo ad esami, controlli, terapie, eccetera, eccetera, eccetera. Una lezione e una casistica che probabilmente il passaggio di questo terribile virus lascerà ai programmatori del futuro.
Terza ed ultima dovrebbe essere una valutazione a tutto tondo sul livello di vita e di esposizione degli anziani in salute di oggi, i quali per la loro condizione di anziani – a parte pochi servizi domiciliari lasciati al buon cuore del volontariato o del vicinato – sono costretti a fare il doppio di fatica nell’andare in farmacia o a fare la spesa o altre incombenze “permesse” dalla chiusura totale. Si pensi solo alla spesa, che per non gravare con i pesi di una normale spesa giovanile, deve essere spezzata in più volte, in più code e, in definitiva in più esposizione al rischio.
Dunque, senza nulla togliere in rispetto all’istituzionalità di eventuali decreti, sarebbe bella, oltre alla sconfitta del virus, anche quella della discriminazione verso una categoria di persone che fino a poche settimane fa e anche oggi, contribuiscono all’economia nazionale e a tante mancanze sociali: sostenendo famiglie, welfare e consumi spesso quanto e più degli altri.