Psicogeriatria: la fase due sarà ricostruire un rapporto di fiducia con gli anziani

Alla paura generalizzata del coronavirus, gli anziani ne devono mettere in conto una altrettanto preoccupante. Un tipo di comunicazione e un conseguente comportamento generalizzato sulla longevità come “peso sociale” ed elemento marginale sia in termini di protezione, come cominciano a narrare le cronache, sia in termini decisionali riguardo alle cosiddette scelte o priorità di intervento in casi di terapie intensive e sistema sanitario al collasso.
Il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, anche in vista del prossimo ventesimo congresso dell’Associazione in programma a Firenze a metà del prossimo settembre, si pone l’interrogativo: “come ci avvicineremo ai nostri pazienti se hanno capito che chiediamo loro l’età per prendere alcune decisioni (come l’intubazione) e che un domani potremmo farlo anche per cose che riguardano la somministrazione o meno di farmaci costosi?”.
L’emergenza di queste settimane ha infatti evidenziato, in un contesto già presente in cui gli anziani censiti dall’Istat che hanno più di 75 anni e nessuno su cui contare in caso di bisogno sono uno su tre, comportamenti certamente non tranquillizzanti. Medici di famiglia impauriti che tendono a bloccare o disumanizzare le visite, scarse risposte nei contesti sociosanitari territoriali, paura delle famiglie a chiamare il 118 per il timore di veder salire il proprio familiare sull’ambulanza e non poterlo più salutare fino alla fine. In un contesto, peraltro, dove proprio le residenze per anziani sono state per settimane un anello debole della catena, spesso vittime di dimenticanze del sistema sanitario riguardo a controlli, protezioni, possibilità di tamponi e risorse per contenere l’emergenza anche dal punto di vista economico. Con personale e gestioni allo stremo, altrettanto eroici rispetto agli ospedali nel gestire e cercare di scongiurare pericoli e crisi sanitarie.
Da qui la necessità di cominciare a costruire subito, superata la crisi, rapporti più stretti e umanizzanti sul piano clinico, così come sull’organizzazione dei servizi.
L’auspicio, già espresso dall’Associazione di Psicogeriatri alla formazione del governo con un decalogo di richieste di buon senso, è che possa esservi una rimodulazione del welfare a misura di anziano e di malattie degenerative come l’Alzheimer, con residenze che si aprono al territorio, divenendo vero e proprio centro di regia di una serie di servizi plurimi, che comprendono la sanità territoriale e il senso di una presa in carico di comunità.
Magari a partire dal problema ancora irrisolto degli anziani che, raggiunta la guarigione clinica, presentano un grado di disabilità tale da non poter rientrare al proprio domicilio e non poter essere correttamente gestiti in famiglia, molto spesse abbandonata nell’accompagnamento dei propri cari.