Una ricerca effettuata in Svizzera comincia a far luce su alcuni effetti meno visibili ma certamente carichi di ulteriori pericoli che la crisi globale della pandemia ci lascerà nel lungo periodo a venire. Tra questi quello che desta più allarme è il rapporto tra giovani e anziani. Non si tratta dei rapporti affettivi tra congiunti o di quello altrettanto solido di fasce di popolazione che prestano o ricevono assistenza a vario titolo, ma di un cambiamento di percezione sociale e di considerazione a livello socioeconomico e pubblico.
Insomma una discriminazione che, nei termini in cui è stata alimentata anche dalla rilevante personalità dei media e dei bollettini sanitari giornalieri, promette di permanere a lungo nell’immagine collettiva degli anziani e per la quale potrebbero occorrere anche azioni di comunicazioni “mirate” per ripristinare almeno il vecchio equilibrio.
Attraverso una serie di interviste a campione, tipo sondaggio, è emerso che tre anziani su quattro, avvertono in modo sensibile questo cambio di atteggiamento e di percezione. E c’è un altro dato su cui riflettere, che riguarda chi si appresta ad entrare nel prossimo futuro nella fascia dei più anziani e che oggi ha tra i 50 e i 65 anni e in molti casi è inserito a pieno titolo nel tessuto produttivo sociale. Gran parte di loro è preoccupata per possibili ripercussioni in termini di posizione lavorativa ed economica che potrebbero derivare da questo nuovo sentimento diffuso.
Naturalmente c’è da considerare che ciò avviene all’interno della società svizzera, che ha modelli di coesione sociale e welfare diversi dagli altri Paesi del contesto europeo, ma questo allarme non deve essere ignorato, soprattutto alle latitudini che certamente non brillano (e sono stati ancora più carenti durante la pandemia) per risorse, attenzione sanitaria e idee riguardo alla socialità e socializzazione degli anziani che si fermano talvolta a qualche merenda e partite di briscola.